Anche chi non ha il mensile può avviare un giudizio di revisione delle condizioni
Per la decisione occorre considerare il contributo dato alla vita familiare
Dopo il divorzio, il coniuge che subisce un peggioramento della propria situazione economica può bussare alla porta dell’ex per chiedere aiuto sotto forma di assegno divorzile. E questo anche se in precedenza non aveva domandato né era titolare del beneficio. Per farlo, occorre instaurare un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio, che ha regole ad hoc, precisate di recente dalla giurisprudenza.
A disciplinare il giudizio di revisione delle condizioni di divorzio è l’articolo 9 della legge 898 del 1970. La Cassazione, con l’ordinanza 5055 del 24 febbraio 2021, ha ricordato che il giudice, per valutare se la domanda di modifica può essere accolta e determinare quindi il contributo divorzile, deve considerare intanto i tempi in cui siano subentrate le difficoltà economiche, escludendo quelle domande che si fondano su condizioni già preesistenti alla pronuncia di divorzio. Inoltre, occorre rifarsi agli stessi principi dettati per il riconoscimento dell’assegno: in particolare, deve essere valutato l’effettivo contributo dato dal coniuge che richiede l’assegno al patrimonio familiare o a quello dell’altro coniuge durante la vita coniugale.
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in un momento successivo rispetto a quello dello scioglimento del matrimonio trova la sua giustificazione proprio nella funzione assistenziale, a cui può essere attribuita una rilevanza prevalente, a determinate condizioni, «in base al principio solidaristico di derivazione costituzionale che fonda il diritto all’assegno divorzio anche secondo il nuovo orientamento interpretativo, così valorizzando la funzione sociale che l’assegno divorzile assolve, nei casi in cui esso sia destinato a supplire alle carenze di strumenti diversi che garantiscano all’ex coniuge debole un’esistenza dignitosa, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente».
Di conseguenza, nel giudizio di revisione «si impone il rigoroso accertamento (...) dei presupposti fondanti, con carattere di prevalenza, la finalità assistenziale, dovendo, tuttavia, (...) parametrarsi la disparità economica a un’effettiva e concreta non autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente, non più in grado di provvedere al proprio mantenimento, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto da valutare con indici significativi, in modo da poter, altresì, escludere che sia stato irreversibilmente reciso ogni collegamento con la pregressa storia coniugale e familiare».
Ma, in concreto, quali sono i fatti su cui si può fondare il diritto al riconoscimento dell’assegno? La Cassazione, con l’ordinanza 1983 del 24 gennaio 2022, ha precisato che è «il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti», che attiene alle condizioni di fatto, a rappresentare «il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali». Dunque, non si può ricomprendere tra i «giustificati motivi» per la revisione dell’assegno la sopravvenienza di «una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale», poiché «la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della “regula iuris”, non già creativa della stessa». La Cassazione ha quindi bocciato la pronuncia della Corte d’appello, che aveva fatto cessare l’obbligo dell’ex marito di pagare l’assegno di divorzio all’ex moglie che aveva una convivenza stabile con un nuovo compagno sulla base di una nuova interpretazione delle norme; peraltro, la convivenza esisteva già al tempo del divorzio e non si trattava, dunque, di un fatto nuovo.
Infine, la Cassazione, con l’ordinanza 1984 del 24 gennaio 2022, ha ricordato l’autonomia del giudizio di revisione rispetto ai criteri che devono essere analizzati dal giudice per valutare la fondatezza della domanda. Infatti, si legge nella pronuncia, «in sede di revisione, il giudice non può procedere a una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale», comprendendo in questa opera ermeneutica, dunque, sia la modifica dell’importo che la sua completa abrogazione.
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