Gli obblighi del medico, la prescrizione dell’amniocentesi e di tutte le indagini strumentali per consentire alla madre di scegliere se abortire.
Se nasce un bambino down, il ginecologo è responsabile? Secondo la giurisprudenza, il medico che ha in cura la gestante è tenuto a sottoporla a tutti i controlli affinché la stessa sia consapevole dello stato di salute del feto e possa, in caso di malformazioni o altre patologie, decidere liberamente se portare a termine la gravidanza o abortire. Ecco perché, la Cassazione ha da sempre affermato che, nel caso di un neonato affetto dalla sindrome di Down, il ginecologo che non abbia prescritto l’amniocentesi alla madre è responsabile ed è tenuto a risarcire il danno. Più propriamente, si parla di danno da “perdita di chance” per via della mancata possibilità di fare conoscere alla donna lo stato del feto, per decidere in anticipo se interrompere o meno la gravidanza.
Indice
- 1Gli obblighi del ginecologo
- 2Onere della prova dei genitori in caso di nascita del bambino con sindrome di Down
- 3Omessa prescrizione dell’amniocentesi: il rifiuto della madre di successivi accertamenti non esclude la responsabilità del medico
Gli obblighi del ginecologo
È obbligo del ginecologo fare di tutto, sulla base delle conoscenze mediche, per informare la donna incinta delle condizioni del nascituro. Pertanto il medico, anche laddove riscontri una normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali, i quali tuttavia non ne consentano la visualizzazione nella sua interezza, ha comunque l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, nella prospettiva della determinazione della gestante ad interrompere la gravidanza, ancorché gli accertamenti diagnostici più completi siano invasivi e implicanti maggiori fattori di rischio per il feto [1].
Onere della prova dei genitori in caso di nascita del bambino con sindrome di Down
Più di recente, la Suprema Corte ha precisato [2] che, per ottener il risarcimento per l’imprevista nascita di un figlio down, i genitori devono fornire la prova della volontà di ricorrere all’aborto se adeguatamente informati della malformazione.
Il principio non è nuovo. Già in passato [3], i giudici hanno affermato che «in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia del feto». Sembra una prova impossibile da fornire, trattandosi di un fatto “negativo” e quindi ormai difficilmente accertabile. Per questo la Cassazione ha anche detto che quest’onere può essere assolto tramite presunzioni, ossia indizi, desumibili dagli elementi di prova, quali «il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva».
Se questa prova viene fornita, grava poi sul medico – che voglia esonerarsi da ogni colpa – dimostrare che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento nei confronti di una donna che aveva chiesto più e più volte di effettuare test clinici sul nascituro, risultato poi affetto dalla sindrome di Down, ma il suo ginecologo si era opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto) [3].
Omessa prescrizione dell’amniocentesi: il rifiuto della madre di successivi accertamenti non esclude la responsabilità del medico
C’è un’importante precisazione che trapela dalle aule di giustizia [4]. Qualora risulti che un ginecologo, al quale una gestante si sia rivolta per accertamenti sull’andamento della gravidanza e sulle condizioni del feto, abbia omesso di prescrivere l’amniocentesi – esame che avrebbe evidenziato la peculiare condizione dello stesso (“sindrome di down”) – il semplice fatto che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante abbia rifiutato di sottoporsi ad ulteriori accertamenti prenatali non toglie la responsabilità del medico per il proprio inadempimento quanto alla perdita della “chance” di conoscere lo stato del feto sin dal momento in cui quell’inadempimento si è verificato. Di conseguenza, ove la gestante lamenti di aver subito un danno alla salute psico-fisica, per aver scoperto la condizione del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella “chance” deve essere considerata parte del danno ascrivibile all’inadempimento del medico.