Quando e perché il medico deve indennizzare i genitori per non aver comunicato i possibili problemi del nascituro.
Che succede in caso di malformazioni del feto che, se conosciute per tempo, avrebbero giustificato la decisione di abortire? E quando i medici curanti o le strutture sanitarie sono tenuti al risarcimento danni per omessa informazione? Ancora: quand’è che si può considerare per davvero omessa l’informazione sulla salute del nascituro?
In materia si è sviluppata di recente una giurisprudenza dettagliata della Corte di Cassazione che tiene conto anche dello sviluppo delle tecnologie di diagnosi, diventate più precise, diffuse e, quindi, a disposizione di un numero più vasto di pazienti.
Come capire se il feto è malformato o anomalo
Le tecniche di diagnosi sono l’elemento chiave per capire in maniera tempestiva quando è possibile o, addirittura, necessario interrompere la gravidanza.
Al momento, sono disponibili varie forme di diagnosi precoce che consentono di scoprire la presenza di anomalie genetiche in maniera più o meno tempestiva, come l’amniocentesi o il più recente Prenatal test. Per quel che riguarda le malformazioni, risultano preziose invece le ecografie.
Quando e perché si può abortire?
I principi chiave del diritto all’aborto sono contenuti nella legge 194, che consente l’aborto nei primi 90 giorni di gravidanza se la prosecuzione di gravidanza comporta pericoli fisici o psichici per la madre oppure per la presenza di malformazioni, che è il caso che ci interessa.
Dopo il novantesimo giorno, l’aborto è consentito nei casi di pericolo di vita per la donna o di pericoli gravi che l’anomalia o la malformazione del feto potrebbero comportare per la madre.
È importante tenere a mente che le anomalie e le malformazioni sono patologie diverse. Perciò possono esserci malformazioni che non dipendono da anomalie genetiche e, viceversa, possono esserci anomalie che non provocano necessariamente malformazioni (ad esempio, la Sindrome di Down). Infine, come si vedrà più sotto, esistono malformazioni che non danno il diritto ad abortire.
Non solo aborto: la parola alla Cassazione
Il diritto all’aborto è violato quando la donna non è informata dei rischi della gravidanza o della presenza di anomalie o malformazioni.
La Cassazione ha applicato di recente questo principio in maniera particolare ed è andata oltre il problema dell’aborto. Infatti, ha ribadito il diritto di risarcimento per omessa diagnosi non solo perché la mancata conoscenza impedisce alla donna il diritto di scegliere se continuare o meno la gravidanza. Ma ha riconosciuto il risarcimento anche perché l’omessa diagnosi impedisce ai genitori che decidono comunque di proseguire la gestazione di prepararsi a livello psicologico e materiale ad assistere il bambino malformato.
In altre parole, può non essere necessario sapere che la madre avrebbe interrotto la gravidanza se avesse saputo per tempo della malformazione grave.
Malformazione del feto: chi può essere risarcito?
La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito, sin dal 2015, che il risarcimento danni per nascita indesiderata a causa di omessa informazione spetta alla madre e non alla persona malformata. Questo perché il nostro ordinamento non contempla l’aborto «eugenetico» e il diritto a nascere sani. Tranne nel caso in cui la malformazione non è genetica ma dovuta a patologie sorte durante la gravidanza di cui i genitori non siano stati informati.
Ancora: la malformazione del feto deve essere grave e provocare pericoli e danni alla madre. Quindi, non dà diritto al risarcimento danni la mancata diagnosi di una malformazione non pericolosa, ad esempio la mancanza di un arto. Anche per un motivo: queste diagnosi, spiega sempre la Cassazione, avvengono di solito attraverso l’ecografia morfologica, che si pratica dopo il quinto mese. Perciò rivela una malformazione che non consentirebbe comunque l’aborto dopo il terzo mese.
Diritto alla vita e diritto alla salute
La legge 194, in realtà, non garantisce un diritto «a prescindere», ma impone condizioni ben precise:
l’aborto deve essere motivato da un diritto alla salute della madre, non solo a livello fisico ma anche psicologico;
questo diritto alla salute deve essere motivato più seriamente dopo il novantesimo giorno di gravidanza e implicare un grave pericolo.
Per quel che riguarda la responsabilità sanitaria, sono importanti due cose:
il comportamento colposo (cioè dovuto a malafede o sciatteria) del medico;
il diritto a essere informati dei genitori, in particolare della madre.
Proprio perché il diritto all’aborto non è indiscriminato, è importante la consapevolezza.
Insomma, il principio base del nostro ordinamento resta il diritto alla vita, che può subire limitazioni solo per il diritto alla salute. E il diritto all’informazione è il punto di equilibrio che dovrebbe impedire che l’interruzione della gravidanza si trasformi in una contraccezione sotto mentite spoglie.