In attesa di una decisione della Cassazione, una nuova pronuncia di merito esclude l'applicabilità dei tassi ''peggiorativi'' previsti dal DM 1986 (sentenza n. 1262/2021)
Torniamo a parlare dei buoni postali collocati in periodo successivo al 1° luglio 1986 (data di entrata in vigore del D.M. 13/06/1986 istitutivo della serie Q) mediante l'utilizzo di cartacei appartenenti alla precedente serie P che presentano, sul fronte, un timbro correttivo della serie (da P a Q/P) e, sul retro, un timbro correttivo - al ribasso - dei tassi di rendimento sino al 20° anno di durata dell'investimento e nessuna modifica per il periodo successivo, dal 21° al 30° anno di fruttuosità.
In attesa che la Corte di Cassazione chiarisca la questione (si veda ord. 24165/2021), è opportuno registrare la pronuncia resa dalla Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 1262 del 7/10/2021 (testo in calce) qui in commento.
L’intermediario postale, soccombente in primo grado avanti il Tribunale di Bergamo (ordinanza 7/11/2017), propone appello sostenendo che, in ossequio all’art. 5 D.M. 13/06/1986, l’apposizione sul cartaceo dei timbri correttivi fosse sufficiente a determinare l’applicazione dei rendimenti peggiorativi sopravvenuti anche ultimi 10 anni perché - stando allo stralcio delle difese riportato in sentenza - 1) la correzione degli importi fissi indicati sul cartaceo sarebbe stata impossibile trattandosi di diversi per ogni buono e variabili in relazione al valore nominale inizialmente investito e 2) all’epoca del collocamento non era in vigore alcuna normativa che disciplinasse la trasparenza delle operazioni con riferimento alla variazione anche sfavorevole di tassi o prevedesse l’informazione personalizzata al riguardo.
Secondo l’intermediario si avrebbe, così, prevalenza della previsione ministeriale sulle risultanze del cartaceo indicanti, invece, un importo fisso maturante bimestralmente in capitalizzazione semplice.
La Corte bresciana giudica la censura infondata rilevando che:
- Il rapporto tra risparmiatore ed emittente il buono si configura in termini strettamente civilistici e soggetto alla disciplina codicistica in tema di obbligazioni;
- Da tale premessa è agevole inferire che “la valutazione del caso debba essere effettuata, dunque, secondo le categorie del diritto privato, con la conseguenza che, seppur è vero che, secondo la disciplina speciale invocata, l’apposizione dei due timbri, a fronte e nel retro del titolo, avrebbe reso possibile l’integrale applicazione del regime dei tassi di interesse di cui al DM invocato, ancorché apposti su modulistica che, in quanto riferita ad emissioni precedenti, recava tabelle di determinazione del rimborso riferibili ad essi, e quindi tendenzialmente superate, cionondimeno tale effetto può intendersi integralmente verificato solo a condizione della completezza e dell’univocità delle indicazioni in tal modo introdotte, semmai efficaci ancorché effettuate per relationem, ma giammai se parziali, per l’ovvia considerazione che, in presenza di queste ultime, il sottoscrittore è naturalmente indotto a ritenere che, per le parti non incise dalla modifica, si mantenga intatta la disciplina espressa nel testo del titolo.”;
- condivisibile è il richiamo operato dal giudice di prime cure al precedente della Cassazione ( SSUU n. 13979/2007). La diversità tra le fattispecie [il caso esaminato dalla sentenza 2007 era relativo ad un buono completamente privo di timbri correttivi, mentre quello oggetto di giudizio è il caso di un buono solo parzialmente privo di timbri correttivi] “non esclude che possa trovare applicazione anche a questo caso il principio di prevalenza dell’affidamento ove a generarlo sia stata la condotta dell’emittente, o del personale di quest’ultima”;
- l’annotazione con un apposito timbro degli interessi relativi al primo ventennio accompagnata dalla previsione, per la terza decade, di un trattamento conforme a quello stabilito dalla disciplina previgente possa aver indotto a supporne il mantenimento, ed appare indubbio che tale affidamento sia interamente ascrivibile a condotta omissiva dell’emittente stessa, la quale, pur potendo fornire un’informazione esauriente sulla disciplina da applicare, ha preferito offrirne una incompleta.
Sulla scorta di ciò, l’appello è stato respinto e l’intermediario condannato alle spese.
Pur condivisibile nell’esito, la motivazione manifesta incongruenze rispetto ad altra giurisprudenza di legittimità in materia.
La sentenza S.U. 3963/2019 afferma che, con riguardo ai buoni postali, non è neppure possibile parlare di legittimo affidamento del risparmiatore nelle risultanze testuali del cartaceo, perché il contratto è strutturalmente esposto al rischio di variazione dei rendimenti in corso di rapporto in forza dell’art. 173 DPR 156/73 (come modificato dalla L 588/74) che istituisce in capo all’Emittente tale diritto.
Se così è, la non operatività delle condizioni del DM 1986 per l’ultima decade deve fondarsi su ben altra argomentazione e, cioè sull’applicabilità al caso dell’art. 1342 c.c. (Cass. 4761/2018 di recente confermata dalla sent n. 33033/2021) che regola l’efficacia delle clausole aggiunte ai contratti conclusi tramite moduli e formulari quali, appunto, i buoni postali.
Le clausole cartolari relative ai rendimenti dell’ultimo decennio prevalgono sui precetti ministeriali perché, al momento dell’apposizione del timbro, non sono state cancellate e perché il loro contenuto è compatibile con le modifiche apportate inerenti, come detto, i rendimenti sino al 20° anno.
È altrettanto chiaro, poi, che l’operatività dell’art 1342 c.c. – che postula l’integrazione materiale nel cartaceo delle modifiche sopravvenute - esclude l’applicazione dell’art. 1339 c.c., ossia la sostituzione automatica (cioè senza integrazione materiale) dei precetti ministeriali alle clausole contrattuali difformi e rivela, per l’effetto, la natura squisitamente dispositiva – non imperativa – degli stessi.
Infine, se è vero che i buoni postali sono contratti conclusi mediante adesione a moduli cartacei predisposti per disciplinare in maniera uniforme i rapporti contrattuali che su di esse si fondano e per “l’evidente necessità che le relative controversie siano trattate con regole uguali per tutti i fruitori del servizio” (in questi termini cass. 33033/2021), come si spiega che l’art. 1339 c.c. si stato invece, ritenuto operativo ai buoni emessi ante 1986? (Sulla fallacia dell’argomentazione temporale addotta al riguardo dalla sentenza 3963/2019 si rinvia a ABF, decisione n. 6142/2020).
La ricostruzione degli approdi di legittimità sino ad ora resi manifesta la presenza di un contrasto in materia determinato dall’eccentricità della sentenza pronuncia n. 3963/2019 rispetto alle altre.
Non è il primo, né –purtroppo - sarà l’ultimo episodio di strabismo della giurisprudenza.
E tuttavia, forse più di altri, incide pesantemente sul sostrato economico-sociale perché continua a minare la fiducia del risparmiatore nel sistema Paese, in un momento storico, come quello pandemico, in cui non se ne sente davvero il bisogno.
CORTE APPELLO BRESCIA, SENTENZA N. 1262/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF